Paolo Conte: il jazz secondo l’uomo del Dopoguerra.

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Paolo Conte in Concerto a Firenze
Fotografia di Paolo Conte (Photo credit: cinemastore).

Lo scorso sabato sera ho avuto l’occasione di ammirare Paolo Conte in concerto a Firenze, al Teatro Verdi, una bellissima serata che ha visto il grande cantautore ripercorrere i pezzi più significativi della sua carriera. Il concerto è un’ottima occasione per tornare su alcuni punti cardine della sua produzione musicale: in particolare il rapporto fra musica e testi e il suo debito con il jazz e la tradizione musicale americana.

Il jazz a Paolo Conte fu trasmesso dal padre, notaio e musicista amatore. Il cantautore fin da subito vi trovò “una bellissima scuola di armonie e di ritmo, una scuola molto formativa”, un vocabolario musicale che sarebbe stato il perno per la composizione delle sue canzoni, che comunque non sono jazz, come lo stesso Conte ebbe a chiarire:

“Io non scrivo jazz. Il jazz allo stato puro non corrisponde né alla cultura né al nostro linguaggio. Sono un amante del jazz”.

Ma non si trattò solo di un nuovo e affascinante vocabolario musicale da esplorare. Conte trovò nel genere musicale afroamericano il registro espressivo più adatto alle sue necessità comunicative. Il jazz non fu solo la “musica nobile e alternativa della sua generazione” (come lo stesso Conte lo ebbe a definire), ma anche una musica non gentile, non facile, tagliata con la scure e che al tempo stesso “comunicava gioia dopo un periodo piuttosto difficile”, quello della guerra.

Sotto le stelle del jazz

Certi capivano il jazz 
l'argenteria spariva
ladri di stelle e di jazz 
così eravamo noi 
Sotto le stelle del jazz 
ma quanta notte è passata
Marisa, svegliami, abbracciami 
è stato un sogno fortissimo

http://www.youtube.com/watch?v=j0_FzERqx4g

Ed ecco ciò di cui parlano le sue canzoni: si servono spesso del jazz, questo linguaggio “tagliato con la scure”, per raccontare l’uomo del Dopoguerra, l’uomo uscito dalle contraddizioni del conflitto mondiale, segnato da un forte impeto di libertà, dall’urgenza di ripensarsi e dalla volontà di trovare la salvezza in un tentativo un po’ sognatore e individualistico.

Bartali è la canzone dell’uomo in fuga, la canzone dell’uomo del Dopoguerra, che sognava, voleva sognare, vivere da solo, non avere una donna fra i piedi, doveva assolutamente cercare la libertà in solitudine, crearsi i suoi miti, la sua mitologia in assoluta solitudine”.

Bartali

Sono seduto in cima a un paracarro 
e sto pensando agli affari miei 
tra una moto e l'altra c'è un gran silenzio 
che descriverti non saprei. 
È tutto un complesso di cose 
che fa sì che io mi fermi qui 
le donne a volte sì, sono scontrose 
o forse han voglia di far la pipì. 
E tramonta questo giorno in arancione 
e si gonfia di ricordi che non sai 
mi piace restar qui sullo stradone 
impolverato, se tu vuoi andare, vai… 
e vai che io sto qui e aspetto Bartali

http://www.youtube.com/watch?v=DG0HpsG_Zio

Eppure dal jazz, o sarebbe meglio dire più in generale dalla canzone americana, Paolo Conte eredita anche un altro tratto importante: la prassi compositiva. Non si tratta solo di un’influenza stilistica ma dell’adozione di un vero e proprio metodo di lavoro, quello che Conte chiama “sistema americano”.

“C’è questa grande difficoltà di sposare la musica ritmica con una lingua non ritmica nel modo più assoluto come quella italiana, che ha una parola assolutamente anti-musicale, anti-ritmica, perché ha tutti questi accenti sulla penultima, non ha le tronche. Quindi, io che ho la vecchia tecnica di scrivere secondo il sistema americano (scrivere la musica prima e le parole dopo), faccio delle fatiche notevoli ogni tanto per poter trovare delle parole che come suono siano cantabili, siano situabili sopra i ritmi”.

Dunque, differentemente dalla tradizione operistica italiana, Paolo Conte non musica un testo ma lo adatta a frasi musicali e a ritmi precomposti, una prassi che ha imperversato nella canzone americana ben prima dell’avvento del jazz e che vedeva il paroliere impegnato a rivestire con i suoi versi le frasi ritmico-melodiche delle canzoni (il grande paroliere Ira Gershwin paragonò il proprio mestiere a quello di un mosaicista).

In Paolo Conte troviamo dunque una chiara influenza americana, visibile nello stile e nel metodo compositivo. Il contenuto dei testi esprime invece il contesto storico che Conte ha potuto vivere e osservare in prima persona: quell’uomo del Dopoguerra profondo sognatore e pieno di solitudine che, come lo stesso autore ha confessato, è “il protagonista del 70% delle sue canzoni”.

Ci lasciamo con Eden, uno degli esempi più toccanti di poesia messa in musica da Conte.

Eden

Solo in un silenzio penso a niente
e voglio solo te,
padre emozionato ed entusiasta
che ti specchi in me
Solo contro niente mi accontento
e non mi annpoio mai,
suono un bel sassofono d'argento
e non mi sbaglio mai...
Ah, suono nel vuoto...
Sto cercando per tutto il paradiso
la quota dove sta il tuo sorriso...
Ah, voglio suonare...
Ah, e camminare...
Sto cercando per tutto il paradiso
la guida che m'incontri
il tuo sorriso...

Nota: Gran parte delle citazioni di questo articolo sono state raccolte dallo speciale “Giochi di Memoria” dedicato al cantautore e trasmesso nel 2010 da Rete Uno (RSI).

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lorenzo puliti

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