Led Zeppelin: “Il più grande contributo della musica americana? Vitalità e varietà”

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jimmy page led zeppelin Sembra un buon periodo per i Led Zeppelin, la grande band che si è sciolta ormai nel lontano 1980 e che torna a far parlare di sé per due interessanti iniziative: la prossima proiezione nei cinema del loro storico concerto del 2007 (Celebration Day) e l’imminente premiazione al Kennedy Center di Washington DC.

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Il concerto reunion del dicembre 2007 a Londra. Da sinistra a destra: John Paul Jones, Robert Plant e Jimmy Page. Alla batteria Jason Bonham, figlio del compianto John Bonham. (Photo credit: Wikipedia)

Il premio, che andrà anche a Dustin Hoffman, Buddy GuyNatalia Makarova, è un riconoscimento per chi “con straordinario talento, creatività e tenacia ha contribuito in modo significativo alla vita culturale della nazione americana e del mondo“.

I Led Zeppelin hanno ringraziato con un commento semplice ma molto interessante: “Noi abbiamo un grande debito nei confronti della vitalità e varietà della musica delle persone americane“.

E i Led Zeppelin non hanno tutti i torti. Se ci pensiamo bene uno dei più grandi contributi che gli Stati Uniti hanno dato alla musica del mondo è proprio quella vitalità, quell’esuberanza e varietà che è tipica di un popolo giovane, che sta definendo la propria identità e che intende farlo non con toni pacati, ma con un’irruenza genuina e spontanea.

Tanti sono gli esempi che possiamo citare. Ad esempio il jazz dei roaring twenties che con la sua frenesia infiammò mezza Europa. Quando George Gershwin compose la sua Rhapsody in blue nel 1924 identificò nella musica del popolo americano proprio le due caratteristiche di cui hanno parlato i Led Zeppelin: vitalità e varietà.

“Io l’ho sentita [La Rhapsody in blue] come una sorta di caleidoscopio musicale dell’America, del nostro melting pot, della incomparabile vivacità della nostra nazione, del nostro blues e della pazzia della nostra vita metropolitana”.

Questa esplosione di vitalità tradotta in musica ha avuto nella storia altre tappe importanti non necessariamente connesse fra loro. Una di queste fu ad esempio il rock’n’roll, espressione spontanea e genuina delle nuove generazioni degli anni ’50. Ha scritto Greil Marcus:

“Attraverso tutto il rock ‘n’ roll echeggia la semplice richiesta di pace interiore e di divertimento. Mentre la domanda è facile da porre, nulla è più complesso del cercare di renderla reale e viverla”. 

La musica continuò poi a fare il suo corso: arrivò il rock e poi l’hard rock, a cui furono proprio i Led Zeppelin a dare l’impulso maggiore. La band di Robert Plant, Jimmy Page, John Bonham e John Paul Jones costruì un sound impressionante per l’epoca, una dirompente forza d’impatto, un “muro sonoro” su cui si stagliava la voce acuta e urlante di Plant. La band incarnava un’urgenza primordiale, un’urgenza che aveva un riferimento chiaro, il blues.

Proprio qui sta uno degli elementi unificanti di questo percorso un po’ insolito (a mettere insieme Gershwin e i Led Zeppelin ci vuole fantasia lo ammetto… spero non troppa!): le radici afroamericane, siano queste derivate dal jazz o dal blues. Che sia stato proprio quest’incontro fra musica nera e musica bianca a scatenare l’impeto prorompente che tutti hanno sempre riconosciuto alla musica americana?

Muddy Waters dopotutto non si sbagliava quando disse: “il blues ha fatto un figlio e lo hanno chiamato Rock’n’roll”.

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