Yes: “l’arte della cover”

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Yes: "l'arte della cover"
Yes: Something’s Coming: The BBC recordings 1969-1970.

C’è modo e modo di fare cover.

Si può semplicemente riproporre una canzone nelle sue caratteristiche principali (melodia, armonia, arrangiamenti) “reinterpretandola” soprattutto per mezzo della voce e delle sue particolari caratteristiche timbriche. Oppure in altri casi, forse la maggior parte, si può scegliere anche di ri-arrangiare la canzone variandone il colore strumentale e il ritmo.

Decisamente più raro è il caso degli Yes, una band per cui fare cover diventa sinonimo di “re-inventare in toto” la canzone, trasformandola in una composizione musicale dalle dimensioni più ampie e dalla struttura complessa.

Alcuni esempi sono America, il celebre brano di Simon & Garfunkel, che in mano agli Yes si trasformò in una suite di oltre 10 minuti (4:13 nella versione singolo), Everydays dei Buffalo Springfield (oltre 6 minuti) ed Every little thing dei Beatles (poco meno di 6 minuti).

Il brano di cui parliamo oggi non è nuovo a chi frequenta questo blog. Si tratta di Something’s coming da West Side Story, una canzone di cui ho parlato in un precedente post: Something’s coming: tutto inizia con un “miracolo dovuto”.

In questo caso gli Yes si cimentarono con un repertorio non proprio navigato in ambito rock, il musical di Broadway, e ne realizzarono la loro bizzarra versione nel 1969, l’anno dell’esordio discografico (Yes). Tuttavia Something’s coming non fu incluso nell’album, ma venne inserito nella seconda facciata del singolo Sweetness (Atlantic 584280).

Yes Sweetness L'arte della cover
Yes Sweetness, singolo. Something’s coming fu incluso nella seconda facciata.

Il brano è dunque dei primi anni, il periodo in cui il sound degli Yes era ancora in via di definizione (due geni come Steve Howe e Rick Wakeman dovevano ancora unirsi alla band) e che, forse per questo, vide la band dedicarsi molto all’“arte della cover”.

Dopo un attacco un po’ caotico la canzone mette in moto un ritmo forsennato e spasmodico (0:32) e il tema di Something’s coming, rielaborato e trasformato, si combina con una citazione dallo stesso musical, la canzone America (1:13-1:16), suonata dal basso di Chris Squire.

Clicca qui per ascoltare il paragone fra il tema originale di Something’s Coming e la rielaborazione degli Yes.

Clicca qui per ascoltare il tema originale di America. Clicca qui per la rielaborazione degli Yes.

La frenesia poi sfuma improvvisamente (1:31), lasciando spazio a un momento di maggior respiro, anche se ancora non del tutto stabile. Sono passati solo 2 minuti ma la differenza espressiva con l’originale è enorme. Quella che nel brano di Bernstein era un’attesa sì febbrile ma piena di baldanza per un miracolo che prima o poi sarebbe dovuto accadere (per il significato della canzone clicca QUI) si trasforma, nelle mani degli Yes, in un’ansia spasmodica e nervosa, totalmente priva di spavalderia.

Tuttavia la baldanza arriva poco dopo e infiamma le parti corali (2:44) e la successiva sezione strumentale (4:00). Un’attitudine totalmente positiva e libera dalle incertezze iniziali sembra aver ormai preso le redini della canzone che nel finale (6:06) divaga in un momento contemplativo, quasi pregustando il miracolo che accadrà presto, la notte stessa.

Ed ecco che si spalanca improvvisa un’altra citazione, sempre da West Side Story; è Tonight, la canzone della “notte infinita” (“Stanotte non sarà una notte qualsiasi, stanotte non ci saranno stelle del mattino”), il brano che esprime la gioia di Tony e Maria perché il “miracolo dovuto” si è finalmente avverato.

Da brivido il grido finale di Jon Anderson.

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