Neil Diamond: “Pretty amazing grace”

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Neil Diamond

Come nasce una grande canzone? Questo è uno degli interrogativi più affascinanti che riguardano il mondo della musica. Non è frequente che gli artisti della popular music affrontino l’argomento ma talvolta capita e spesso ne escono fuori cose davvero interessanti.

Il caso è quello di Neil Diamond, uno dei songwriter più prolifici nell’industria della canzone americana, quell’industria tanto bistrattata che però ha saputo proporre i più grandi songwriter del secolo scorso: George GershwinJerome Kern, Irving Berlin e Cole Porter (per citarne solo alcuni).

Ebbene cos’avrà da dire uno come Neil Diamond, formatosi scrivendo canzoni a macchinetta nel Brill Building di New York, sulla composizione delle canzoni? Ci presenterà forse l’arte del songwriting come un processo puramente meccanico? Come l’applicazione di un sapiente artigianato? Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare Diamond asserisce:

“Dopo i tanti anni passati a registrare tutte queste canzoni, tutti questi album, sarebbe ragionevole dedurre che mi sono abituato a scrivere canzoni, che ho imparato e affinato tutti i metodi necessari a tal punto che potrei sfornare canzoni in serie anche mentre dormo. Eppure per me è vero l’opposto. Ogni album mi richiede tanto quanto il mio primo disco (se non di più) e l’arte di comporre canzoni per me deve ancora diventare un’impresa facile. Le canzoni vengono direttamente dal mio cuore, come se fossero sempre state lì, eppure niente del processo compositivo è semplice e immediato”

Prosegui la lettura dell’articolo sul Sussidiario al seguente link: NEIL DIAMOND/ “PRETTY AMAZING GRACE”, COME NASCE UNA GRANDE CANZONE? Oppure leggilo per intero qui di seguito:

«Dopo i tanti anni passati a registrare tutte queste canzoni, tutti questi album, sarebbe ragionevole dedurre che mi sono abituato a scrivere canzoni, che ho imparato e affinato tutti i metodi necessari a tal punto che potrei sfornare canzoni in serie anche mentre dormo. Eppure per me è vero l’opposto. Ogni album mi richiede tanto quanto il mio primo disco (se non di più) e l’arte di comporre canzoni per me deve ancora diventare un’impresa facile. Le canzoni vengono direttamente dal mio cuore, come se fossero sempre state lì, eppure niente del processo compositivo è semplice e immediato».
Qualcuno potrebbe sorprendersi sapendo che a scrivere queste parole è nientemeno che Neil Diamond, un musicista che emerse negli anni ’60 fra i cosiddetti “songwriter a macchinetta” del Brill Building, un celebre palazzo di New York passato alla storia come “il più importante generatore di canzoni di successo nel mondo occidentale”, tanto da indurre ad adottare il termine “Brill Building Sound” per identificare i grandi hit degli anni ’50 e ’60.

Neil Diamond pertiene dunque a quella categoria di songwriter che si sono formati scrivendo canzoni su richiesta, concepite per ottenere il più largo successo commerciale possibile (una tradizione tutt’altro che indegna se pensiamo che ne fanno parte personaggi come George Gershwin, Jerome Kern, Irving Berlin e Cole Porter). Eppure a oggi per Diamond scrivere un pezzo è tutt’altro che un’operazione semplice: si tratta piuttosto di un’impresa che “ti consuma la mente, il corpo e lo spirito”.

Il motivo è presto detto: al fondo c’è un’inquietudine personale, un’urgenza profonda che ancora, dopo decenni di successi, non lo fa sentire arrivato. Le sue parole al riguardo sono eloquenti: «In verità, io sono più affamato di prima: il vuoto profondo che ho dentro mi fa anche più male. Fare musica è la mia vita, la costante senza la quale non posso vivere. È più di un desiderio o un’aspirazione, è una necessità».
Allora, se le cose stanno così, se l’arte di scrivere canzoni è mossa da questa profonda urgenza, non basta più affidarsi alla semplice riproposizione delle tecniche del mestiere: scrivere una canzone diventa una tensione tutta protesa a osservare quello che accade, a scorgere e a ricevere quelle che Diamond chiama “piccole nascite”.

Ecco le sue parole: «La genesi di un album diventa una collezione di piccole nascite e morti, si può dire che io vivo e muoio un po’ con ogni canzone. Le morti nascono spesso dalla mia stessa diffidenza: idee che non prendono forma, accordi che stridono e melodie un po’ randagie. Le nascite sono invece la magia, lo slancio che libera la canzone dalla mia persona, portando le idee alla vita».

Una canzone vera nasce dunque quasi da sé, sorprendendo lo stesso compositore, e l’impulso che la trasforma da idea in canzone è un vero e proprio avvenimento, una “piccola nascita”, un evento che non si può prevedere e che dunque richiede un’attesa, una tensione. Ecco ancora le parole di Diamond: «Io non posso mai sapere quando o dove queste piccole nascite accadranno. L’unica cosa che faccio è predispormi nel ruolo dell’osservatore e così mi accorgo che la vita continua intorno a me. I rapporti di ogni giorno sono trasformati in una risorsa di possibilità, mi forniscono le chiavi che possono catturare la mia immaginazione. Provare a tenere le mie orecchie (e anche occhi, mente e cuore) aperte alle possibilità, le piccole nascite che danno vita alle canzoni, lungo un periodo di mesi […] è stato da queste piccole nascite che questo album è cresciuto fino a trovare il suo centro emozionale, che è ed è sempre stato la mia stessa vita».

L’album in questione è “Home before dark”, il bellissimo disco pubblicato nel 2008, in cui spicca, fra le tante perle, Pretty amazing grace, una canzone che sembra fiorita proprio da questo tentativo di «tenere le orecchie, gli occhi, la mente e il cuore aperti alle possibilità», un atteggiamento proteso a osservare la realtà che può giungere anche a una grande e inaudita scoperta: la grazia di Dio.
La canzone non descrive dei fatti accaduti, ma semplicemente svela il contenuto di un’esperienza: l’accorgersi della propria povertà e, allo stesso tempo, della grazia di Dio che “reclama il cuore” di ogni uomo, qualsiasi errore possa aver commesso. Una canzone che è quasi un inno religioso e in cui si può scorgere anche qualche rimando alla celebre Amazing grace di Newton (ad esempio il verso “You stood beside a wretch like me”).

Il pezzo è basato su una semplice serie d’accordi eseguiti dalla chitarra e sostenuti dal bel sottofondo di pianoforte e contrabbasso. Su questo tessuto musicale si inserisce la voce di Diamond, che in alcuni punti si fa dolente, in altri sembra sull’orlo della commozione. Nella parte finale il ritmo sembra farsi sempre più inquieto, quasi febbrile, con un fraseggio di chitarra ripetuto in modo ostinato che gradualmente porta Diamond a un vero e proprio grido.

Il bellissimo testo di Pretty amazing grace descrive il rapporto con Dio come un’esperienza che libera la mente, spalanca gli orizzonti e ridesta un io distratto e insensibile. Un’esperienza che non è prerogativa dell’uomo colto, intelligente o scaltro, ma di un io che, animato da un’urgenza profonda, si predisponga veramente a osservare, proteso alla ricerca di qualcosa che riempia quel “vuoto che fa male”.

Ecco il testo:

Grazia davvero straordinaria/ È quello che tu mi hai mostrato/ Grazia davvero straordinaria/ È ciò che tu sei/ Ero come un vaso vuoto/ Tu mi hai riempito dentro/ E con la tua grazia mi hai restituito l’orgoglio.

Grazia davvero straordinaria/ È il modo in cui mi hai salvato/ È con essa che hai reclamato il mio cuore/ Amore nel mezzo del caos/ Quiete nella foga della guerra/ Con la tua grazia straordinaria/ Mi hai mostrato per cos’era l’amore.

Hai perdonato la mia insensibilità/ E il mio tentativo di ingannarti/ Sei rimasto accanto a un disgraziato come me/ La tua grazia davvero straordinaria/ Era tutto ciò di cui avevo bisogno.

Sono inciampato sull’entrata della tua cappella/ Umiliato e intimorito per tutto ciò che ho fatto/ La bellezza e l’amore mi hanno circondato/ Liberandomi dalle mie paure/ Ho invocato la grazia straordinaria e sei apparso.

Hai sconfitto la mia mancanza di fede e speranza/ Mi hai dato una verità in cui credere/ Mi hai condotto fino a un luogo più alto/ Mi hai mostrato la tua straordinaria grazia/ Quando la grazia era l’unica cosa di cui avevo bisogno.

Guardo in uno specchio e vedo il tuo riflesso/ Apro un libro e tu vivi in ogni singola pagina/ Sono caduto e tu eri là per tirarmi su/ Tu sei con me su qualsiasi sentiero io mi arrampichi/ E con la tua grazia hai liberato la mia mente.

Sono venuto da te con le tasche vuote/ Quando sono tornato ero un uomo ricco/ Non credevo che l’amore avrebbe acquietato la mia sete/ Ma con la tua grazia/ Mi hai mostrato che invece poteva.

Nella tua grazia ho avuto una visione/ È dal quel posto meraviglioso che io sono venuto a essere/ Nella notte vagavo/ Vagavo senza scopo/ E ho trovato poi la tua grazia a confortarmi.

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lorenzo puliti

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